Godot

In questa terra di mezzo, surreale e senza tempo, ci siamo incontrati. Ci siamo guardati. Abbiamo parlato del più e del meno, lui diceva quanto fossi cambiato. Di quanta barba avessi in più e io invece di quanto bambino sembrava lui. Di quanta strada doveva fare per arrivare dove ora ero io. Ci siamo ritrovati qui, nessuno dei due se lo immaginava. Stavamo aspettando lei, chi per una ragione chi per un’altra. Uno per delle scuse, l’altro per delle motivazioni. Che poi comunque erano scuse. Entrambi straconvinti di non aver bisogno di lei, che questa era una formalità. Ci guardavamo e occupavamo il tempo parlando del niente. Sapevamo che non sarebbe venuta. In questo specchio temporale, pensavo a quanto fossi cambiato ma su di lei ero rimasto come allora. E sentivo la sua angoscia nel guardarmi e vedere che nulla era cambiato dopo anni. “Beh, finiamola qui” “Sono d’accordo,basta così” [La amano ancora]

Conclusione liberamente ispirata ad “Aspettando Godot” di Samuel Beckett. Dateci un occhio 😉

Playlist aggiornata! 🙂

Momento revival – primo racconto del libro

Riprendendo in mano il libro – non lo faccio mai se non quando mi fanno domande su cose specifiche o per essere sicuro di averlo scritto davvero – mi sono chiesto perché avessi iniziato con questo racconto.
La risposta? Un sorriso.
Ma la curiosità mi ha spinto a chiedermi quale fosse stata la reazione-risposta di chi ha iniziato il libro.
Chissà 😉

Senza indugi, mi ributto – sperando che vogliate accompagnarmi – in questo momento revival di un post del 31 Gennaio 2014 e che fa iniziare “Dodicirighe” in versione cartacea (escludendo il racconto-incipit).

Permesso – Trenino di legno
Ancora me la ricordo, la prima volta. No, a dire il vero non ricordo la prima volta che ci siamo incontrati. Ricordo la prima volta che mi hai distratto dai miei pensieri. Una vera e propria distrazione. Senza chiedere il permesso, sei entrata in questa stanza piena di ingenuità, gioventù e pensieri triviali. Muovevo il mio trenino di legno carico di sogni, con l’altra mano muovevo le corde delle mie passioni di quel presente, che ora sembra lontano. Ti sei seduta accanto a me, e non hai detto una parola. Io non ti ho prestato attenzione. Ci è voluto un po’ prima che mi girassi e ti notassi. Tu eri interessata al mio trenino, io ti guardavo con la coda dell’occhio. Eri parte della mia nuvola confusa di conoscenze. Ma io per te non lo ero. E così hai preso il mio trenino di legno. Senza chiedere il permesso. E io, ingenuo e giovane, te l’ho lasciato prendere. E mi sei entrata nel cuore e ci sei rimasta. Senza chiedere mai il permesso.

Per info sul libro e su dove acquistarlo… andate due post fa o nella sezione “il libro” o qui sulla destra 😉 Natale si avvicina!

Dieci anni in poche frasi

Ci sono momenti in cui senti di doverti affidare a parole già dette o scritte. E non è per pigrizia, non è per occupare tempo o spazio. Semplicemente devi ammettere che qualcuno ha già visualizzato quello che avevi in mente. Ed è successo questo, mentre avevo il mio lettore aperto e gli auricolari – che anche se fossero in due stanze diverse della casa sarebbero capaci di attorcigliarsi – alle orecchie.
Ho sempre pensato che il mio incontro con lei sarebbe stato così: per le scale, correndo. Che l’avrei vista sempre uguale, e che anche lei mi vedesse uguale. Che la malinconia ci avrebbe abbracciato e il silenzio avrebbe guidato i nostri discorsi, basato per la maggior parte di frase fatte.

Abbandono le mie solite dodici righe perché ho ritrovato in questa canzone il mio pensiero:

Prevert – Formicolio

E’ uno dei miei pezzi preferiti e – credeteci o meno – lo conoscevo prima che fosse usato nella pubblicità dei Baci Perugina.

Ricordo tanti momenti. Ero incurante degli sguardi altrui, e la sua timidezza non era motivo di rabbia (forse agli inizi sì) ma poi era diventata la ragione del mio sorriso. Non sono per l’ostentazione. E mi piaceva amarci senza precisione, appuntamento o comodità.
Il formicolio che avevo tra l’orecchio destro e la base del collo, mentre intorno c’era un mondo che andava avanti e noi eravamo chissà dove, resterà una delle sensazioni più belle mai provate.
Sono più di dodici righe, ma abbiate pazienza 😉

I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.

Playlist aggiornata! 😉 Buon ascolto!

Non una storia, ma una dedica

Questa volta non ho una storia, ma ho una dedica. Una dedica a quei momenti in cui mi ero rotto delle nostre discussioni, chiudevo la porta, aprivo la finestra, perché l’aria in casa era diventata irrespirabile. A quelle volte in cui guardavo i miei amici single e li invidiavo, per i loro pochi pensieri, e la loro libertà. Che poi, anche io ero libero. Una dedica a tutti quei momenti in cui avevi ragione ma io non volevo avere torto e cercavo di zittirti. A tutte le volte in cui volevo farcela senza di te. A tutte quelle volte che,non facendocela, non ti ho chiesto aiuto per non sembrare dipendente. A quelle volte che non ho capito i tuoi sforzi, che li ho misurati ai miei e rinfacciavo un peso minore sulla mia bilancia ideale. A quelle volte che mi hai confidato e confessato le tue debolezze e io, ipocritamente, ti ho guardata con disprezzo. Ai miei e ai tuoi dubbi che, aldilà di tutto, ci hanno reso uniti per quel tempo che ci siamo concessi.

Playlist aggiornata con una canzone che è perfetta cornice del post 😉 Ascoltatela!

Stereotipi

Eh si, era andato tutto bene fino a quel momento. Due persone che si parlano, un uomo e una donna che hanno interessi comuni ma sono diversi l’uno dall’altra. Poi, quando casualmente ho detto la mia nazionalità, mi hai spiattellato una serie di stereotipi. Salvo dirmi che non avevo l’aria da playboy e non ero come gli altri. Non so se l’hai detto per salvarti in calcio d’angolo o perché avresti voluto che un po’ lo fossi. Sono lento in queste cose, mi imbarazzo. Lo dicono anche tutti i miei amici – dandomi botte in testa – quando le mie serate con ragazze finiscono con “ci siamo abbracciati”, “abbiamo dormito soltanto”, e così via. Cosa posso dirti, non so cosa dirti. Probabilmente sono un oriundo inconsapevole. Sono tornato a casa, ho pensato di fare una checklist su quanto rispecchiassi quell’elenco che mi avevi fatto. Ma quello che mi importava eri tu. Allora ti telefono, accendo lo stereo e prendo come scusa questa canzone per sentirti. E basta:

Di ego smisurati

“Non poteva fare con lui nulla di ciò che aveva fatto con me senza sentirsi una traditrice o una prostituta. Non poteva neanche imburrargli il pane. Se pensavo che poteva prendere la sigaretta che egli lasciava accesa nel portacenere e continuare a fumarla,mi sentivo impazzire.[…] Qualcosa doveva pur fare con lui: l’unica cosa che avrebbe potuto fare era cucinare, perché per me ha cucinato tanto di rado che non sarebbe necessariamente tradimento o finzione.” *
Mi era capitato di immaginarla immobile, per evitare che l’ombra dei suoi gesti si sovrapponesse a quelli passati in mia compagnia. E il mio ego si gonfiava, diventando un gommone gigantesco su cui imbarcavo illusioni. A volte si insinua il dubbio che, anche le mie parole senza senso, fungano da pompa per imbarcazioni dell’ego altrui. C’è comunque la certezza che, prima o poi, queste scialuppe inconsistenti si infrangeranno sugli scogli della realtà.

*Citazione tra virgolette tratta da “Opinioni di un clown” di H.Boll

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Jet lag mentale

Ricordo il mio volo di tanti anni fa. Quella strana sicurezza di partire mescolata alla totale assenza di cognizione di quello che stava per succedere. Appena ritornavo, la prima domanda che mi facevi era quando sarei ripartito. “Ho avuto la sensazione che passiamo più tempo a dire -arrivederci- che a vederci”*. Soffrivo di una sorta di jet lag mentale, nonostante l’orario invariato. E sembrava che anche tu ne soffrissi, pur restando ferma. Non c’era mai tempo sufficiente per riabituarsi all’altro. Tutta l’assenza che si provava nella distanza si trasformava in un osservarsi paralizzante. Per notare cambiamenti, per notificare i cambiamenti, ed eventualmente incolpare l’altro per quei cambiamenti. La paura del non riconoscersi, il non volerlo ammettere a volte. Perché se uno cambia e l’altro no, è un male. Ma nonostante tutto, sorrido ancora pensando a quei singoli istanti in cui ci ritrovavamo negli occhi dell’altro e sembrava che non ci fossimo mai separati.

Citazioni tra virgolette tratta da “L’appartamento spagnolo”

Playlist aggiornata! 😉

Incontri puntuali

Primo appuntamento, pensavo mi avrebbe fatto aspettare. Camminavo piano. Ma, appena il mio orologio aveva segnato un minuto al luogo di incontro e per arrivare ce ne volevano almeno due, corsi. Quando sarebbe arrivata, avrei fatto finta di essere appena giunto, per fare il disinvolto. La puntualità poteva mostrare non avere alternative a lei, essere disperati, precisi e maniacali. E invece lei era lì. La logica avrebbe voluto che la ritenessi una disperata, una ragazza senza alternative, precisa e maniacale. La realtà era che era impaziente di vedermi così come anche io. Alla fine della serata rientrai a casa e trovai un biglietto in tasca: “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice. [..] Quando saranno le quattro incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi, scoprirò il prezzo della felicità. Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore.”* Inutile dire che,da allora, arrivai sempre in anticipo.

*Frase tratta da “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry

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Dichiarazioni (Centesimo post!)

C’è a chi piace quella del film “Harry ti presento Sally”, o chissà quante altre di tanti altri film. Ma di recente mi è capitato di rivedere “Qualcosa è cambiato” con Jack Nicholson e Helen Hunt.
E mi sono ricordato che quello che dice lui – diciamo dai secondi 57 circa del video, la parte prima per ora no – è una di quelle cose che avrei voluto dire io senza sapere di star riciclando la frase di un film ma con l’orgoglio di essere originale.
Dopo questo mio straparlare, che con le dodici righe cerco sempre di evitare, vi lascio con il mini video in questione. E festeggio così il centesimo post di questo blog. Grazie ancora a tutti voi miei cari lettori!

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