Tengo in mano questo biglietto che conservo nel portafogli da sempre. Da una vita. Da quello spartiacque. A malapena si leggono il numero del sedile e la data del volo. Quel giorno lo ricordo bene: capelli rasati (perché l’unico che poteva tagliarmi i capelli era il mio barbiere di fiducia da una vita e nessun’altro in terra straniera poteva toccarli, e avevo calcolato che sarebbero durati fino alla prossima discesa), pantaloni bianchi e camicia bianca a maniche corte da sembrare un narcotrafficante. Era una giornata di sole di settembre meridionale. Avevo la fretta di restare e quella di partire. La voglia di novità e nostalgia per qualcosa che non avevo ancora lasciato. Il check in rapido lì davanti a me. Il tempo di salutarsi in privato con la ragazza, raccogliere le lacrime trattenute e conservarle in valigia assieme alle mie che non volevo versare per essere uomo. Le raccomandazioni di mio padre e di mia madre (no, non stiro ancora, mi dispiace). Quell’aeroporto era l’ultimo baluardo della mia gioventù spensierata. Superati i controlli di sicurezza si sarebbe aperto un mondo di incertezza che avevo solo visto in brochure e racconti altrui: il mondo del fuori sede. La speranza che tutto sarebbe cambiato per me andando via ma che tornando sarebbe rimasto tutto uguale, ed effettivamente era così per tanti anni ma non avevo tenuto conto di quanto mi sarei sentito spaesato e fuori posto. Quel ragazzo rapato quasi a zero, con gli occhiali, la mise da Pablo Escobar, il cuore spezzato e la voglia di avventura abita ancora dentro di me. E a volte mi tiene sveglio in qualche frazione di insonnia e mi chiede conto di tutto questo. Mi chiede di fare bilanci che non voglio fare, mi chiede se son felice, se lo rifarei. Ma quel ragazzo che era in aeroporto è partito ormai e ogni tanto guarda ciò che è stato dal finestrino della sua vita. E anche se volare gli fa una paura fottuta, la cintura la slaccia ogni tanto. E nonostante tutte le turbolenze e i rischi di precipitare che ci sono stati, quel pischello continua il suo viaggio col biglietto consumato e il cuore che continua a battere, nostalgico e per fortuna ancora desideroso di avventura.
Ringraziare le persone che ho incontrato in questi dieci anni forse è generico, ma voglio ringraziare chi mi diede la spinta a partire anche se nella mia umanità spesso rinfacciai che fosse stata la scelta sbagliata. Grazie ai miei.

Set 09, 2016 @ 07:51:03
bellissimo post
Set 09, 2016 @ 17:50:54
grazie 😉
Set 09, 2016 @ 08:39:17
Veramente sentito, questo post. Qual era la destinazione?
Set 09, 2016 @ 17:51:06
grazie mille 🙂 ai tempi era Milano !
Set 09, 2016 @ 09:44:30
Fumava!
Set 09, 2016 @ 17:51:14
Direi di no! 😀
Set 09, 2016 @ 11:32:09
❤
Set 09, 2016 @ 22:44:17
^_^
Set 09, 2016 @ 17:06:43
Bisogna avere il coraggio di partire, affrontare il nuovo. L’ho fatto, lasciandomi dietro tutto e non me ne sono mai pentito. Non credo che tu lo sia.
O.T. Sono dieci anni che non tagli i capelli? 😀
Set 09, 2016 @ 17:52:21
Pentito no, quando non si è molto felici è normale chiedersi se è stato giusto ma ce lo si chiede per tutto 😉 e per fortuna!
hahaha no no poi ho trovato le mie oasi felici per i capelli anche in altri posti, ma non a milano!
Set 09, 2016 @ 19:45:47
Felici? E’ normale trovare dei momenti di infelicità. Sarebbe troppo bello che tutto filasse liscio. Sono felice 😀 per i tuoi capelli.
Set 09, 2016 @ 19:25:44
Il barbiere in valigia. 😉
Set 09, 2016 @ 22:44:07
ma magari! però è stato bello sperimentare 😀
Ott 11, 2016 @ 22:10:25
La cosa triste di quello che accade quando vai via è proprio che al tuo ritorno tutto è cambiato. Parti con la speranza di dare una svolta alla tua vita, di fare nuove esperienze, di conoscere nuove persone e poi in realtà quando ritorni le persone con le quali hai passato gran parte dei tuoi momenti migliori non ci sono più.
O quanto meno questo è quello che è accaduto a me.
Ott 11, 2016 @ 22:14:36
Quello che è accaduto a me è stato, a volte, sentire di essere andato avanti col tempo e di aver fatto cose nuove. Ma le avevano fatte anche le persone rimaste dov’erano, solo che non era bello sentire fuori posto, non soltanto me stesso, ma anche loro 🙂