Dieci anni di dodicirighe

Sono sempre stato di poche parole, del resto è sempre stato questo lo spirito di dodicirighe. Nato per caso, da un lancio di dadi, e proseguito dalla lotta tra la mia testa e il mio cuore. Voglio ringraziare tutti voi, lettori vecchi e nuovi, che mi avete sempre sostenuto e ripreso. Grazie di cuore perché, senza di voi, dodicirighe sarebbe stato più vuoto.

Ad maiora!

Biglietto, prego

Capita nella vita di sentirsi passeggeri di un treno che non siamo sicuri sia il nostro, nonostante abbiamo controllato mille volte il binario, l’orario e la destinazione. E controlli più volte il biglietto, mentre altre persone salgono sul treno e cercano il loro posto e ti senti seduto in quello sbagliato, perché pensi di esserti seduto al loro posto. E resti in ansia e pensi che sicuramente di manderanno via e farai brutte figure e sarai giudicato, finché qualcuno non ti controlla il biglietto e ti dice che è giusto e puoi restare. Quante volte hai aspettato che qualcuno ti desse il suo benestare per sentirti giusto come e dove sei?

Sintetico

A furia di essere sintetico

per rispettare soglie basse

di attenzione

ho finito per preferire

il silenzio.

Ma anche su quello

mi dicono

di tagliare corto.

Romanticast – nuova avventura!

Cari tutti,

vi annuncio la mia nuova avventura che si chiama “Romanticast”: è un podcast dove leggerò alcune storie che ho scritto (alle quali si aggiungeranno contenuti bonus di tanto in tanto).

Spero che possa piacervi questo nuovo mezzo di comunicazione col quale cercherò di raggiungervi.

Qui sul blog, sotto la playlist, trovate i link degli ultimi episodi (cliccandoci su, verrete indirizzati alla piattaforma Anchor dalla quale poi ascoltarli o scegliere dove ascoltarmi).

In alternativa, potrete trovarmi cercando direttamente “Romanticast” o cliccando i seguenti link per queste piattaforme:

SPOTIFY: clicca sull’icona –>

BREAKER: https://www.breaker.audio/romanticast-1

GOOGLE PODCASTS: https://www.google.com/podcasts?feed=aHR0cHM6Ly9hbmNob3IuZm0vcy81NTU3MGE5NC9wb2RjYXN0L3Jzcw==

POCKET CASTS: https://pca.st/f4nmu2o1

RADIO PUBLIC: https://radiopublic.com/romanticast-WzznZJ

Fatemi sapere cosa ne pensate e… buon ascolto!

Il vostro Curi

Ve lo prometto

Ammetto di provare un po’ di sana invidia per chi può ancora chiamare i propri nonni. E a chiunque mi dice che lo sta per fare vorrei rispondere “ma sai che li chiamo anche io?”. Poi però chiudo gli occhi e sento la vostra mano sulla mia spalla, che scende e prende la mia mano per guidarmi o per essere guidati voi. Ci immaginiamo sempre i nonni come persone anziane per definizione e invece, guardando le foto della loro gioventù, mi rendo conto che sono stati tanto altro. Figli, genitori, amici, fratelli, sorelle. Ciò che sono stati per gli altri non posso saperlo. E anche quello che sono per me è difficile da spiegare. Le loro avventure e insegnamenti arrivano dai nostri genitori e zii. E spesso i nostri stessi ricordi sono frutto di elaborazioni di seconda mano. Ma sai che non mi importa? Perché quei ricordi sono comunque miei. E so che, anche se componessi il numero di casa dei miei nonni e squillasse a vuoto, il solo fatto di ricordare il numero di telefono mi fa sentire vicino. E chissà se, nei miei sogni, un giorno alzeranno la cornetta per ascoltare le mie peripezie e accarezzarmi dolcemente raccomandandomi di fare il bravo. Ve lo prometto.

Ti accompagno io

Ti accompagno io, non avere paura. Ti prendo per mano, senza guardarti negli occhi, come quando ci si urlava contro e si faceva pace ma senza dire niente. E per la vergogna si guardava a terra, senza incrociare i nostri sguardi. Ti accompagno io, non temere di sbagliare strada. Come quando ci dicevamo di essere una la bussola dell’altro. Un punto fermo, qualcosa da tenere sempre in mente quando ci si sentiva persi. Ti accompagno io, non sentirti sbagliato. Come quando ti dicevo sempre: non sei tu ad essere sbagliato, ma sbagli come tutti. E ti chiudevi a riccio, mi dicevi solo che non era vero. Fino a quando arrivavo a dire a me stessa che tu eri sbagliato. Per me. Ti accompagno io, anche se vorrei non conoscere la strada. Come quando ho indicato la porta di casa, la nostra casa. Ti accompagno io, perché è il momento. Ti accompagno a questa porta dei miei sogni e ti lascio uscire. È il momento che tu esca da tutti i miei pensieri. E ora che ti ho accompagnato fuori, e ho gettato via la chiave, mi sento sola. Ma felice. E, ti prego, non tornare. Anche se troverai la chiave che ho nascosto nel taschino della tua giacca. Non tornare. Perché non so se ti riaccompagnerei fuori. O se ti vendicherai e sarai tu a farlo con me.

PRESENTAZIONE TORINO

Cari tutti, sono felicissimo di poter condividere l’invito ufficiale (prima di questo istante poteva essere solo un sogno bellissimo) per la presentazione che terrò a Torino del mio ultimo libro !
Con me, per aiutarmi ad articolare un discorso sensato, ci saranno Marco e Davide che conoscete come Radical Ging.
Vi aspetto per parlare assieme di turbe mentali, amore, meteo e tanto altro!
PS spargete la voce, mi raccomando !!
Un abbraccio
Curi

Verbale

Ti guardavo e mi facevo coraggio. Di giorno in giorno ero sempre più convinta che le cose sarebbero andate bene. E per “bene” intendevo un ragionamento di quelli come “attraverso senza guardare, tanto sono sulle strisce pedonali e, se mi investono, mi devono risarcire.” Attraversavo le nostre strade fatte di incroci senza semafori. A volte mettevi semafori non perfettamente sincronizzati. Per testarmi. Per capire quanto ci tenevo a noi, se ero pronta a rischiare il tutto per tutto. Lo facevi sempre più frequentemente, ma io sopravvivevo e credevo fosse un segnale positivo. E non mi rendevo conto di quante volte ero io il coducente del mezzo che per poco non ti investiva. Quasi per gioco, quasi per non so cosa. Non mi rendevo conto di quanto fosse autolesionista tutto questo. Di quanto ci facesse male. Di quanto mi facesse male. Puoi perdere tutto. E se ti dono tutta me stessa, se le cose vanno male? Non mi interessava la risposta a queste domande, finché non rimasi da sola a scrivere un verbale mai terminato sul nostro amore finito.

Ingenuo terzo incomodo

Quando ero bambino ascoltavo al telefono mio fratello e mia sorella con le loro dolci metà ma non comprendevo bene la situazione. Volevo capire cosa ci fosse da dirsi ogni giorno. Ero petulante, me ne rendo conto. Li infastidivo, ed era il mio obiettivo primario. Per curiosità e per gelosia del tempo che mi veniva rubato con loro. Anche se non c’era niente da fare, nella realtà. Rompevo le scatole e non mi capacitavo di questo sentimento, fino a quel impostomi alle scuole elementari da un gruppo di bambine che mi aveva affibiato una loro amichetta. Loro chiamavano e io ero il terzo incomodo. Mi scoprivano immediatamente, ma il brivido di poter captare qualcosa, magari da riciclare da grande, mentre in quel momento la usavo per prenderli in giro, era davvero entusiasmante. Cosa fanno oggi i fratelli minori? Leggono whatsapp di nascosto? Non è la stessa cosa. E, forse, un po’ del mio romanticismo, lo devo a queste mie incursioni da piccolo ingenuo rompiscatole nascosto accanto al mobiletto del telefono di casa.

Mc Chicken

La portai al Mc, quello a Milanofiori. La aspettavo all’ingresso come si aspetta un miracolo. Anzi ero davvero tentato di mettermi a mani giunte e implorare che non fosse una mia incomprensione o uno scherzo da parte sua. Continuavo a tastarmi la tasca per contare i soldi effettivi in mio possesso senza farlo apertamente: se fosse arrivata non avrei fatto bella figura. Ed eccola con dei pantaloncini jeans strappati , una magliettina con la bandiera americana e un cappellino rosa. Ammetto che presi singolarmente erano un po’ strani e non di mio gusto, ma su di lei erano il massimo. Gli ormoni di un quindicenne alto un metro meno dei suoi compagni impiegano poco a percorrere tutto il corpo. Almeno questa era la mia teoria, forte della mia ignoranza in biologia,medicina e relative materie. Ci mettemmo in fila e lasciai ordinare lei per prima, in modo che potesse avere tutto e per il mio pasto mi sarei regolato di conseguenza. Non avevo fame in realtà. Passai le due ore più belle della mia vita a ridere e scherzare con lei, la più bella della scuola. Della città. Dell’universo. Mi rubava le patatine e io mimavo un morso al suo McChicken (che avrei dato volentieri dato che mi si apriva lo stomaco piano piano). Ogni tanto diventava rossa perché, forse, capiva il mio interesse. E questa cosa mi faceva impazzire perché pensavo fosse abituata. Mi disse che non aveva mai parlato così tanto con un ragazzo e che era felice di averlo fatto con me. Io annuivo diventando rosso a mia volta. Pagai e facemmo un tratto di metro assieme (io scesi qualche fermata dopo la mia per poter stare con lei). Ero indeciso se scendere prima di lei, con lei o dopo di lei. Per evitare l’imbarazzo di un’ulteriore strada assieme, scesi dopo la sua fermata. Le porte della metro ci costrinsero a un rapido saluto. Ma, la cosa più bella, fu che lei si fermò a salutarmi finché non fui inghiottito dalla galleria. Tornando a casa ero pieno di sentimenti contrastanti. Volevo vederla già la sera, volevo stare con lei. Avevo paura che fosse l’ultima uscita assieme. Sulla strada di casa vidi un altro Mc. Ordinai un McChicken e rimasi a pensare a lei tutta la sera. Mi innamorai di lei. E del McChicken.

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